L’azienda agricola “La Rindola” di Elia Antoniazzi,
Campanella di Altissimo - Vicenza
È un saliscendi che si sviluppa lungo la traiettoria nord-sud, tra boschi, radure, ruscelli: ambienti vari che si intrecciano e creano un mosaico di biodiversità, non lontano da aree molto antropizzate.
Lassù, a settecento metri di quota, è appoggiato il piccolo borgo di Campanella, frazione di Altissimo, con la sede dell’azienda agricola “La Rindola” di Elia Antoniazzi.
La sua famiglia è originaria di San Pietro Mussolino, un paese distante appena otto chilometri. A separare Campanella da San Pietro è una lunga serie di tornanti, che copre quasi cinquecento metri di dislivello e conduce in alcuni minuti a una dimensione altra. «Qui sembra di abitare fuori dal mondo», commenta il giovane imprenditore.
La decisione di avviare un’attività agricola partendo da zero ha cambiato radicalmente la vita di Elia e della sua famiglia. «L'idea è stata di mio padre che, dieci anni fa, venendo a sapere che questa proprietà era in vendita, ci ha proposto di acquistarla per farne un agriturismo», ricorda. «Nella nostra zona è raro trovare una superficie di otto ettari non frammentata. Sapevamo che un’occasione simile difficilmente si sarebbe ripresentata e, insieme, abbiamo deciso di lanciarci in quest’avventura».
Al tempo, Elia si era da poco laureato in Scienze forestali a Padova e aveva iniziato a lavorare in uno studio professionale, occupandosi di valutazioni ambientali. Quell’impiego gli piaceva, ma stare a lungo in ufficio e in automobile non faceva per lui, che da sempre preferisce la vita all’aria aperta, in montagna o nei campi. Ama specialmente camminare: una delle cose che apprezza di più della vita a Campanella è poter uscire di casa già con gli scarponi ai piedi e percorrere chilometri nella natura, seguendo le dolci linee del paesaggio collinare.
Anche nel nome scelto per l’azienda, si nasconde un riferimento all’oro blu: la “rindola” è un termine cimbro e indica la canaletta scavata nella pietra o in un tronco d’albero per convogliare l’acqua alla fontana.
A Elia, mettere le mani nella terra fa tornare in mente quando, da ragazzino, aiutava il nonno, che era contadino e teneva gli animali: vacche da latte, maiali, galline, conigli, e coltivava l’orto, la vigna e tutto ciò che serviva, come si faceva allora. È una sensazione che lo fa stare bene. Il nonno, invece, ci ha messo del tempo per accettare la scelta del nipote di lasciare un lavoro da impiegato per lavorare nei campi. L’agricoltura, per quelli della sua generazione, significava miseria, fatica e umiliazione, era un mondo da cui fuggire.
«Oggi le cose sono cambiate. La fatica rimane, ma ci sono mezzi che permettono di alleggerire molti compiti e, attorno al lavoro della terra, c’è la possibilità di costruire tante attività diverse, creative. A “La Rindola” lo stiamo facendo con la ristorazione, l’organizzazione di feste, di eventi, di passeggiate ed escursioni, in cui sono io ad accompagnare i visitatori, in veste di guida naturalistica. A questo si aggiungono le attività legate alla fattoria didattica. Per ora abbiamo solo due asinelli e dieci galline, in futuro forse prenderemo altri animali», spiega Elia. La sfida è riuscire a vendere un’esperienza, per attrarre persone da lontano.
«Conosco persone che continuano a curare i prati anche senza nulla in cambio, solo per conservare la fisionomia delle colline in cui sono cresciuti. Dicono che lo fanno per “tenere pulito”, ma il loro lavoro va molto oltre», osserva Elia. Dove c’è abbandono e avanza il bosco, non si va né a camminare né a fare pic-nic. Lo sfalcio contribuisce anche a conservare la biodiversità, perché le specie vegetali e animali che vivono nei prati sono molto numerose. Ecco perché chi, come Elia Antoniazzi, si impegna a mantenere i prati, può beneficiare di un contributo del PSR.
«Quando siamo arrivati, una decina di anni fa, il prato in località “Le pozze” c’era ancora: qualcuno prima di noi se n’era occupato, ma si notava la sua graduale riduzione a vantaggio del bosco», racconta Elia, mentre passeggia vicino alle aiuole dell’orto, al terreno dissodato, pronto per la semina del frumento, e al campo di mais marano, la varietà antica che ha scelto per farne farina per polenta e gallette di alta qualità, dal sapore di una volta.
A quel punto, vedere il cantiere aperto per la realizzazione dell’agriturismo ha risvegliato la fantasia degli abitanti. C’è stato chi ha suggerito di farci anche una piscina, chi un campo da golf. Una maestra ha proposto di aprire le porte ai bambini del luogo, offrendo un servizio giornaliero di doposcuola.
Alcuni anni fa, Elia e sua sorella, laureata in Scienze dell’educazione, hanno deciso di provare a seguire il consiglio di quella maestra e di seguire le orme del loro predecessore. Da subito la proposta di un doposcuola per i bambini di Altissimo è stata accolta con entusiasmo dalle famiglie.
«Ci siamo resi conto che i bambini qui fanno una vita molto simile ai coetanei di città, passano poco tempo tra loro e rimangono per lo più in casa», commenta Elia. «In agriturismo invece si pranza tutti assieme, con i prodotti della terra cucinati da mia sorella, che nel frattempo si è formata anche per fare la cuoca. I piccoli poi, seguiti da noi, passano il pomeriggio tra i compiti e lo svago all’aria aperta».
sorride Elia, giocando sul nome del Comune, Altissimo. «Rapidamente, un tornante dopo l’altro, un passo dopo l’altro, si entra in questa cornice bucolica, lontano dalle strade rumorose e trafficate, giù a valle. Molte case, nel borgo, sono abbandonate, ma altre no. La vecchia fattoria di Pellizzari è rinata grazie al nostro lavoro. Sono consapevole che quello che abbiamo fatto è una goccia nel mare, ma se altri ci imitassero, potremmo invertire la rotta e arrestare lo spopolamento. Io ci credo».